La scomparsa della distinzione tra raggruppamenti verticali, orizzontali e misti nel Codice Appalti 2023 conferma che il punteggio premiale, in caso di partecipazione in RTI, debba essere attribuito anche se il requisito è posseduto da un solo componente.
Lo afferma il TAR Lazio, sez. I, con la sentenza del 3 febbraio 2025 n. 2325.
Il caso di specie.
Il Commissario Unico per la bonifica delle discariche abusive indice una gara per un appalto integrato relativo ai lavori sulla discarica di Malagrotta.
Il disciplinare prevede punteggio premiale per il possesso della certificazione anticorruzione (Modello 231).
Alla procedura partecipa un RTI.
La commissione, accertato che uno dei componenti possiede tale certificazione, assegna il punteggio premiale, determinando l’aggiudicazione dell’appalto.
Il secondo classificato, privo della certificazione, impugna l’aggiudicazione, sostenendo che la commissione non avrebbe dovuto attribuire il punteggio al RTI perché la certificazione non era posseduta da tutti i componenti.
Secondo il ricorrente, infatti, il requisito doveva essere comune a tutti i partecipanti, anche se la lex specialis non lo specificava.
B. La scomparsa dei raggruppamenti orizzontali, verticali (e misti) dopo la sentenza Caruter.
La Corte ha riconosciuto la possibilità per i legislatori nazionali di prevedere regole specifiche sulle modalità con cui i raggruppamenti debbano soddisfare i requisiti speciali imposti dalla stazione appaltante, ma ha altresì ritenuto che queste regole non possano violare i principi di proporzionalità e di ragionevolezza.
Nonostante, quindi, la sentenza riconoscesse la possibilità di regolamentare a livello legislativo le modalità di soddisfacimento dei requisiti nel caso di raggruppamento, il legislatore nazionale ha ritenuto opportuno, per evitare possibili contrasti con il diritto europeo, cancellare le figure dei raggruppamenti verticali e dei raggruppamenti misti. L’effetto di questa decisione non è innocuo. Seppur questa apparentemente agevoli la partecipazione alla gara, in realtà rischia di scoraggiarla, imponendo la responsabilità solidale tra tutti i componenti il raggruppamento indipendentemente dalla quota assunta. Con l’effetto, esso sì sospetto di contrastare con i principi di proporzionalità e di ragionevolezza, che un componente che svolga una prestazione di valore pari allo 0,5% sia chiamato a rispondere per l’intero dei danni eventualmente causati anche da altri componenti, disincentivando il suo ingresso nel mercato pubblico, specie se occasionale.
C. Gli effetti della scomparsa sulla valutazione delle offerte nel caso di RTI.
Come si è anticipato, nel Codice del 2023 la partecipazione in raggruppamento comporta la responsabilità solidale di tutti i suoi componenti.
Questo comporta che:
a) Ogni impresa parte del raggruppamento è chiamata a rispondere di ogni danno prodotto nell’esecuzione del contratto, indipendentemente dal soggetto del raggruppamento che lo ho causato e dalla quota che ha assunto;
b) La Stazione Appaltante può agire nei confronti di qualsiasi membro dell’RTI per il risarcimento del danno.
La funzione di questa previsione, al di là delle motivazioni di massima prudenza normativa (che però non collimano con l’argomentazione della CGUE), è di garantire la massima tutela dell’Amministrazione e di incentivare tutti i componenti il raggruppamento a prevenire il rischio di inadempimento anche vigilando e intervenendo sulle parti assunte dagli altri.
Quindi le prestazioni indicate in offerta tecnica sono assicurate non dal singolo componente il raggruppamento, ma dal suo complesso, indipendentemente dal soggetto che la esegua o che possieda l’elemento premiale.
Per il TAR, quindi, il comportamento della Stazione Appaltante è conforme alla normativa.
D. Osservazioni critiche.
Il ragionamento svolto dal TAR sconta una lacuna.
Esso infatti muove, correttamente, dal presupposto dell’assunzione di una responsabilità solidale dei componenti il raggruppamento che si riflette nella fase esecutiva, ma giunge ad una conclusione non condivisibile, che non tiene conto della natura dell’elemento in questione, di carattere soggettivo.
Il possesso di una certificazione soggettiva, infatti, non comporta l’assunzione di un obbligo esecutivo, ma costituisce unicamente garanzia che lo specifico modello adottato da un singolo operatore sia idoneo a prevenire il rischio corruttivo. Ma questo è il modello di un singolo soggetto che non si può estendere automaticamente, né può essere imposto, agli altri operatori economici, tanto più che i modelli 231 si adattano alla struttura organizzativa dell’impresa che si differenzia in base al soggetto.
Vero è che le certificazioni soggettive possono essere trasferite con lo strumento dell’avvalimento per (ormai) consolidata e pacifica giurisprudenza. Vero anche però che questo trasferimento è presidiato da specifici obblighi contenutistici del contratto che vincola tutti gli operatori sottoscrittori anche in via autonoma verso la Stazione Appaltante. In assenza di questi, la responsabilità solidale non sembra sufficiente come presidio, perché ciascun operatore potrà sempre rispondere di non possedere la certificazione, di non averne garantito il possesso è che pertanto esso sì risponderà dei danni esecutivi legati alla mancata applicazione del modello 231, ma solo con riferimento all’operatore che lo possieda, non potendo esservi altrimenti danno in assenza di un obbligo.
Se, quindi, per elementi materiali il ragionamento sembra condivisibile, per gli elementi immateriali la pronuncia sconta un grave difetto di approssimazione.